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L'Obesità

 

Normalmente non incontriamo alcuna difficoltà nel riconoscere una persona come “obesa”, ma questo non significa che sia facile dare una definizione “oggettiva” di obesità. Possiamo identificare l’obesità come la presenza di un “eccessivo accumulo di tessuto adiposo”. Si tratta di una definizione medica e comunque parziale di un problema che richiede invece approfondite valutazioni antropologiche, storiche, sociali e culturali.
Nella storia dell’umanità, tranne che negli ultimi 50 anni, il problema principale è sempre stato la carenza di cibo: In tale condizione i nostri progenitori avrebbero tratto molti vantaggi da una efficace capacità di accumulare grasso, che rappresentava una invidiabile riserva energetica per i periodi di carestia. In condizioni di carenza di cibo la tendenza a mangiare tutto il cibo disponibile e la capacità di accumulare grasso rappresentavano un vantaggio e una difesa. Oggi invece, in presenza di una sovrabbondanza di cibo, assistiamo ad una frenetica e ossessiva ricerca di un corpo magro: mangiare in modo “misurato” è diventato oggi una necessità fisiologica e psicologica. Questa necessità di controllo del cibo e del peso è fortemente influenzata dalla cultura della nostra società, che condanna senza appello, dal punto di vista medico e sociale, l’obesità e ogni eccesso di peso.
La “spinta alla magrezza”, in presenza di una maggiore disponibilità pro capite di calorie (disponiamo di circa 3500 calorie mentre ne bastano circa 2400 per un adulto sano e attivo) e con un peso medio della popolazione che tende a crescere, crea un vero e proprio paradosso che conduce non di rado a comportamenti alimentari disturbati. L’oggetto del desiderio della nostra società è un corpo patologicamente magro. Sono sempre più numerose le persone che adottano comportamenti alimentari di controllo del peso
Per la definizione dello stato di obesità nelle persone adulte un grande aiuto viene dalla statistica. In base a peso ed altezza, secondo una precisa formula matematica, otteniamo un valore chiamato Indice di Massa Corporea (IMC) o, in inglese, Body Mass Index (BMI). L’IMC (o BMI) è stato introdotto alla fine dell’Ottocento dall’antropologo belga Quetelet. Si calcola dividendo il peso (in kg) per l’altezza (in m) elevata al quadrato, con la seguente formula: BMI = peso (kg) / altezza (m)2.
Il valore del BMI viene collocato in un continuum in cui la comunità scientifica internazionale ha individuato dei limiti che ci permettono di definire la condizione di sottopeso, di normopeso, di sovrappeso e di obesità, come rappresentato nel grafico riportato più sotto. A questi valori si collegano minori o maggiori rischi di morbilità (probabilità di contrarre malattie) e mortalità.
 

Malnutrizione
 
 
Sotto
peso
 
 
Normopeso
 
 
Sovrappeso
 
 
Obesità
 
17,5
 
18,5
 
25
 
30
 

 
In base al valore di BMI si possono valutare le aspettative di vita e di salute dell’individuo. L’aspettativa più elevata di buona salute e di vita coincide con la fascia del normopeso (18,5 – 25), mentre il rischio di morbilità e mortalità cresce man mano che ci avviciniamo agli estremi del sottopeso (17,5)  e dell’eccesso di peso (30).
Questo criterio tuttavia merita una ulteriore precisazione poiché, se è valido per la media della popolazione, rischia di essere poco efficace per il singolo individuo. Infatti, il peso di una persona può essere fortemente influenzato ad esempio dalla consistenza della massa muscolare. Un atleta potrebbe in base alla sola formula matematica risultare nella fascia del sovrappeso o addirittura dell’obesità pur essendo “magro” (nel senso di una bassa percentuale di grasso presente nel corpo).
Per questo è necessario in alcune situazioni valutare anche il rapporto tra massa grassa e massa magra. Per valutare il rischio per la salute di un individuo ci sono altri parametri molto importanti come la circonferenza addominale a livello ombelicale, ottimo indicatore del rischio cardiovascolare. Il “valore soglia” è per il maschio 102 cm e per la femmina 88 cm, valori oltre i quali cresce molto il rischio di malattie cardiovascolari.
Molti altri fattori possono influire sulla definizione del peso di un soggetto: costituzione, familiarità, età, lavoro, storia del peso con dimagrimenti o aumenti significativi. In ogni caso il peso accettabile per un soggetto non potrà mai essere identificato con un numero ma con un intervallo di valori accettabili. Per tale motivo è preferibile fare riferimento al “peso ragionevole”, identificabile come il peso che un “singolo soggetto può facilmente raggiungere e mantenere nel tempo”, che favorisce una buona aspettativa di salute e una buona qualità della vita, frutto di una accettabile attività fisica e senza la necessità di adottare specifici stili alimentari, sacrifici, rinunce o pratiche dimagranti.
 
L’obesità nel bambino
Se la definizione di eccesso ponderale richiede tanta attenzione nell’adulto, il problema si complica ulteriormente nel bambino e nell’adolescente, che si trovano ancora in una fase di crescita e di cambiamento del loro corpo. Anche nei bambini e negli adolescenti si ricorre a valutazioni di tipo matematico-statistico; vengono considerati obesi i bambini il cui peso si allontana significativamente dalla media dei soggetti di pari età e sesso. Ciò significa che, ad esempio, vengono considerati fuori norma tutti i ragazzi il cui peso è superiore al valore entro cui sono compresi il 97% della popolazione in esame. Tuttavia questo criterio risulta criticabile se consideriamo che il peso medio dei bambini è via via cresciuto nel corso degli ultimi 30 anni. Vale a dire che chi veniva considerato obeso 20 anni fa oggi potrebbe rientrare nella media della popolazione. Per una definizione omogenea di obesità ci si basa oggi sulle tabelle dei percentili di BMI in base alle quali viene considerato obeso il bambino che supera il 97° percentile (o il 95°, negli Stati Uniti). In queste tabelle il BMI si differenzia per maschi e femmine e cambia nelle diverse età.
Da queste tabelle emerge che la quantità di grasso corporeo del bambino va incontro a variazioni fisiologiche durante la crescita e lo sviluppo. Nei primi anni di vita nel bambino sano si assiste ad un dimagrimento fisiologico, poi verso i 5-6 anni c’è un aumento del grasso corporeo. Questo sta a significare che in alcune età si cresce in altezza ma il peso resta fermo mentre in altre può aumentare il peso senza che cambi l’altezza.
Recenti studi hanno individuato limiti internazionali (cut off) utili per stabilire nei giovani di età compresa tra i 2 e i 18 anni i limiti del BMI che consentono la definizione di sovrappeso e di obesità. Valori di BMI certamente bassi, ad esempio 18 o 19, possono già indicare uno stato di eccesso di peso a 5-7 anni.
Nell’adolescente e nel bambino la composizione corporea e il rapporto tra massa grassa e massa magra sono molto importanti per definire lo stato di obesità; questo rapporto varia in rapporto all’età e al sesso. Per massa grassa intendiamo la quantità totale di grassi e per massa magra la muscolatura, l’acqua e le ossa. Dopo la nascita e sino all’età adulta si verificano numerose e importanti modificazioni di questi due compartimenti. Durante la crescita la massa muscolare passa da circa un quarto del peso corporeo nel neonato fino a più di un terzo del peso nell’adulto. L’aumento della massa muscolare è simultaneo a quello dell’altezza e presenta una crescente differenziazione tra maschi e femmine, tanto più pronunciata quanto più avanza la pubertà. è lenta durante l’infanzia e accelera durante l’adolescenza. In questa fase lo sviluppo del maschio si differenzia da quello della femmina, tanto che a 18 anni mediamente il maschio possiede una massa muscolare quasi doppia della femmina. La crescita del muscolo è continua fino ai 20-25 anni, quando raggiunge mediamente il suo peso massimo.
 
Perché il bambino diventa obeso
L’obesità è dovuta ad una pluralità di cause in cui gli aspetti genetici interagiscono in modo complesso con le condizioni sociali e ambientali.
L’individuo adulto, in condizioni normali, mantiene abbastanza costante nel tempo il peso corporeo. Si stima che nell’arco di vent’anni avvenga un’oscillazione del 10%, positiva o negativa, del peso medio. Oscillazioni superiori a questo valore sono ostacolate da meccanismi fisiologici attivi nel controllo del peso, che funzionano come una sorta di “adipostato” cioè come un sistema stabilizzatore del grasso corporeo. Se il peso tende a salire l’organismo spende più energia, al contrario, in presenza di una discesa del peso, si attivano meccanismi che portano ad un risparmio energetico.
Nel bambino la situazione è molto diversa, il suo peso è costantemente in aumento e anche il livello di adiposità, come già detto prima, varia in rapporto alla fase di crescita.
Un aumento eccessivo del peso di un ragazzo in crescita può essere dovuto a diversi fattori che ora proviamo ad esaminare.
 
Fattori genetici
È esperienza di tutti noi che in alcune famiglie e in alcuni gruppi etnici l’obesità è un problema ricorrente. Viene tuttora dibattuto a quale livello la genetica condizioni tutto ciò, se ciò sia da attribuirsi a livelli più bassi di spesa energetica a riposo o a processi che favoriscono l’accumulo dei grassi, che in passato avevano una funzione protettiva e di adattamento all’ambiente. La predisposizione genetica deve comunque associarsi ad una maggiore disponibilità di cibo. Diversi studi hanno portato a stimare che la probabilità che un bambino, con un genitore obeso, possa diventarlo a sua volta è intorno al 40%, se entrambi i genitori sono obesi la probabilità sale all’80%. Allo stesso modo un bambino di 6 anni obeso ha il 50% di probabilità di diventare un adulto obeso, queste probabilità salgono al 79% se ha almeno un genitore obeso. Non sono ancora del tutto chiari i meccanismi biologici di trasmissione di questa eredità, ma è plausibile che essi abbiano a che fare con le due componenti del dispendio energetico: il metabolismo basale, ossia l’energia che spendiamo per mantenerci in vita, e la termogenesi indotta dall’alimentazione, ossia ciò che consumiamo per digerire il cibo introdotto. Ciò spiega come mai, mangiando le stesse cose, alcuni individui non ingrassano e altri sì.
Nei noti dipinti di Botero vengono spesso rappresentate famiglie i cui tutti i componenti sono obesi; questa è una efficace rappresentazione della “familiarità” dell’obesità. Il fatto però che anche il gatto di casa sia obeso ci suggerisce che anche altri fattori sono da prendere in considerazione. È evidente che l’obesità si trasmette sia per mezzo dei geni che attraverso i comportamenti e lo stile di vita appresi in famiglia.
 
Fattori alimentari, sociofamiliari e ambientali
Fattori alimentari
Il primo “ambiente” di cui ci troviamo “ospiti” e con cui dobbiamo interagire è l’utero materno. Lo stato metabolico della madre influisce sul metabolismo del bambino. Durante la gestazione si differenziano i centri responsabili della regolazione della fame e della sazietà e viene incrementato il numero delle cellule adipose (adipociti). L’incremento eccessivo del peso della madre durante la gravidanza è un fattore di rischio per lo sviluppo successivo di obesità, ma anche una grave iponutrizione nel primo e nel secondo trimestre sembrano condurre alle stesse conseguenze.
Anche le modalità di allattamento sembrano essere associate allo sviluppo dell’obesità. Vi sono  numerose conferme sull’effetto protettivo dell’allattamento al seno per cui è meno frequente in questi bambini lo svilupparsi di uno stato di obesità, mancano invece studi sulle modalità di svezzamento. Già in questi primi periodi di vita si manifestano processi di auto regolazione da parte del bambino, che possono essere favoriti o ostacolati da alcuni fattori. È noto, ad esempio, che un lattante può variare spontaneamente la quantità giornaliera di latte ingerito in relazione alla concentrazione e quindi alla densità calorica dello stesso. Questa regolazione spontanea può essere però alterata dalle pressioni a mangiare di più da parte dei genitori o dalla loro incapacità di dare risposte coerenti ai bisogni dei figli. Per ogni disagio la proposta risolutiva è offrire cibo. Il risultato di tutto ciò può essere la compromissione della costruzione di un efficace meccanismo di autoregolazione. Ogni spinta o freno a ridurre o accrescere l’alimentazione può ostacolare lo sviluppo di una autonoma capacità di percepire e rispondere ai segnali interni di fame e sazietà.
 
Fattori sociofamiliari
L’acquisizione di un efficace sistema di autoregolazione non ha tuttavia a che fare soltanto con la funzione alimentare. Come tutte le funzioni complesse del nostro organismo, essa investe una pluralità di sistemi, compreso quello affettivo. La qualità e le modalità di gestione del rapporto madre-bambino influiscono sui significati che il bambino stesso strutturerà inconsciamente nei riguardi dell’alimentazione.
Dopo la nascita e fino all’adolescenza le abitudini alimentari familiari condizionano fortemente lo sviluppo dello stile alimentare. È normale che genitori abituati a grandi quantità di cibo tendano a sovralimentare il figlio, il quale si adeguerà passivamente alle quantità di cibo, ai ritmi d’assunzione e svilupperà predilezioni per certi gusti piuttosto che altri. Il consumo familiare abituale di cibi ad alto contenuto di grassi e zuccheri ha come esito non solo un immediato eccesso nell’introito calorico, ma anche una stabile preferenza per cibi ad alta densità energetica, veicolata dall’abitudine ad un gusto particolarmente ricco e soddisfacente. La conseguenza è la costruzione di uno stile alimentare caratterizzato dal bisogno di grandi quantità di cibo e dalla predilezione per alimenti altamente gradevoli al palato. Inoltre, questi bambini mangiano più velocemente, masticano meno e non rallentano l’assunzione verso la fine del pasto.
Le stesse considerazioni valgono per l’attitudine ad una vita fisicamente attiva, che contempli lo spazio per il gioco e lo sport. Genitori che presentano uno stile di vita attivo o che praticano esercizio fisico hanno bambini più attivi e più magri di quelli che non hanno queste abitudini. Le condizioni di vita attuali, specie nelle città, non facilitano l’attività fisica del bambino. Spesso non è possibile giocare fuori casa e l’attività fisica diventa quella “programmata”, percepita generalmente come un sacrificio e un dovere dal genitore, che deve accompagnare e riprendere i figli presso le diverse palestre, e dai figli che vi vedono un ulteriore carico oltre a quello scolastico. Le attività sportive hanno spesso una forte impostazione in senso agonistico, che fa prevalere la dimensione dell’impegno più che quella gratificante del gioco.
La gratificazione di cui i ragazzi hanno bisogno viene invece trasferita nelle attività sedentarie (televisione, video giochi, computer) rispetto alle quali probabilmente il ragazzo avverte una diminuzione delle elevate pressioni già presenti nella sua pur giovane vita. La scarsa presenza di adulti in casa permette una sempre maggiore durata dell’esposizione a questi mezzi, che inconsapevolmente divengono delle speciali “baby sitter” dei nostri figli. Tali attività sono collegate a più livelli con lo sviluppo del sovrappeso e dell’obesità. Il computer sembra addirittura più problematico della televisione, poiché per l’atteggiamento attivo che richiede al bambino tende ad essere un buon sostituto del gioco e delle relazioni con i compagni. Uno studio americano, condotto su un grande campione di popolazione, ha calcolato che nell’arco di tempo che va dai 2 ai 17 anni questi ragazzi passano in totale una quantità di ore corrispondente a più di 3 anni davanti al video. Come non bastasse a questo vanno aggiunte in media più di 7 ore settimanali per i videotapes e almeno altre 5 ore per i videogiochi. Molti interventi mirati a ridurre la prevalenza dell’obesità nei giovani, attuati riducendo il tempo trascorso davanti alla TV e con i videogiochi, hanno ottenuto significative diminuzioni del peso e del BMI.
Il bambino sedentario entra in un circolo vizioso che tende a perpetuare e favorire la condizione di eccesso di peso, rendendolo meno agile nel gioco e nello sport, accrescendo così la frustrazione e il desiderio di evitarli. Il ragazzino finirà per trovare consolazione solamente nelle attività sedentarie solitarie. Il cibo potrà così diventare molto gratificante. Tutto ciò inevitabilmente porterà ad una perdita del controllo sul peso che aggraverà ulteriormente i problemi di partenza.
 
Fattori ambientali
Il bambino non è esposto unicamente alle abitudini familiari ma, sempre più precocemente, diventa oggetto delle sollecitazioni sociali che si manifestano attraverso la grande disponibilità di cibi ipercalorici, altamente appetitosi, e la costante pressione pubblicitaria ad aumentare il loro consumo.
Negli ultimi 50 anni il cibo è profondamente cambiato, passando da bene di prima necessità a prodotto commerciale che deve attrarre per essere acquistato. È sufficiente una rapida occhiata alle pubblicità alimentari di qualsiasi rivista per rendersi conto di come i produttori puntino a proporre alimenti sempre più gradevoli, gustosi, cremosi.
Nello stesso tempo si diffonde il fenomeno dei cibi dietetici o “light” a rimarcare una volta di più la necessità di essere magri e sani senza rinunciare al piacere del cibo. Purtroppo per avere più gusto, morbidezza e tutte le qualità che seducono i consumatori, è necessario aggiungere grassi e zuccheri rendendo in ultima analisi le pietanze molto più caloriche. Osserviamo, ad esempio, i panettoni. Quelli tradizionali sono pochi mentre sono sempre più numerosi quelli farciti, ripieni o ricoperti di creme e cioccolata. Una precoce abitudine e una consuetudine a cibi così ricchi di sapore crea un effetto di calibratura del gusto del bambino, che farà fatica a trovare gratificanti alimenti più semplici. In questa direzione vi è chi ipotizza, non senza ragione, che il cibo possa creare una sorta di dipendenza paragonabile a quella originata da una vera droga (il cibo come “addiction”).
Le caratteristiche fisiologiche del nostro corpo consentono ottime difese contro la carenza di cibo ma non sono idonee a proteggerci efficacemente dall’abbondanza. In caso di restrizione calorica, dovuta alla decisione di mettersi a dieta o alla carenza di cibo, il nostro organismo limita i consumi fisiologici e stimola il desiderio di mangiare. Al contrario, la disponibilità e l’assunzione di quantità elevate di cibo ad alta palatabilità e densità calorica promuove un aumento dell’adiposità ma non sempre riesce a limitare il bisogno di mangiare. Le sensazioni di fame e sazietà sono dunque asimmetriche, nel senso che la fame è uno stimolo potente verso la ricerca di cibo, mentre riusciamo tranquillamente a mangiare qualcosa che ci piace particolarmente anche se siamo sazi. In particolare i cibi ricchi di grassi, o di grassi e zuccheri, presentano il particolare potere di “ingannare” il senso di sazietà, inducendoci a mangiare non perché abbiamo fame, ma perché il cibo è buono. Vale la pena di ricordare, inoltre, che la volontaria restrizione, o meglio rinuncia, viene indirizzata verso i cibi che più ci piacciono e che più stimolano il nostro desiderio. L’effetto è che quei cibi entreranno nei nostri pensieri con lo scopo di controllarne il consumo ma facendoli in realtà diventare una vera e propria ossessione.
 

Il paradosso dei grassi
Gli alimenti ricchi di grassi hanno un particolare effetto sul nostro organismo. Un pasto molto ricco di grassi ci fa sentire sazi a lungo dopo averlo consumato, poiché fornisce al nostro organismo un notevole quantitativo di energia, cioè di calorie. Tuttavia, quando si mangiano alimenti ad alto contenuto di grassi o piatti molto conditi ed elaborati è molto difficile riuscire a fermarsi. La loro piacevolezza, il loro gusto ci porta ad ignorare i segnali precoci di sazietà.

 
La pubblicità martellante di prodotti alimentari è spesso presente nei giornalini e nei programmi rivolti a bambini e adolescenti. La fascia di età adolescenziale e ancor più preadolescenziale, lungi dall’essere protetta, è considerata la più promettente poiché molto recettiva e sensibile a questi messaggi; proprio perché ritenuta più influenzabile i messaggi pubblicitari vengono spesso specificamente creati e diretti a questa fascia di età. Molti nuovi alimenti sono stati studiati per piacere ai giovani e vengono proposti attraverso i sistemi tipici della pubblicità: partecipazione a concorsi e a premi, raccolta di figurine, punti e quant’altro in modo tale da sollecitarne costantemente il consumo. Dai media ci giungono continuamente stimoli al consumo di cibi attraenti, ben confezionati e ipercalorici, spesso sotto forma di snacks atti ad essere consumati al di fuori di ogni ritualità alimentare, nei più diversi momenti della giornata. A volte l’alimento assume un valore di tendenza, diventa “di moda”, e viene ricercato al di là delle sue caratteristiche nutrizionali. In senso più generale le modalità alimentari diventano tutt’uno con le abitudini e le forme di aggregazione, per cui la colazione si fa alla macchinetta della scuola o il pranzo al fast food.
I cambiamenti sociali hanno modificato profondamente la vita familiare, facendole perdere quella capacità regolativa dell’alimentazione data anche dalla ritualità dei pasti. Oggi è normale che la famiglia si riunisca a tavola solo per cenare, mentre durante il giorno ognuno pranza frettolosamente per conto suo. Spesso le scelte alimentari, per mancanza di tempo (ma anche perché si è persa l’abitudine a cucinare), ricadono su cibi pronti. Tutti questi aspetti hanno rimosso ogni argine a limitare consumi sregolati e inconsapevoli di cibo.
 
Quanti sono i bambini obesi?
La percentuale di persone obese nelle diverse aree del mondo presenta un trend di crescita tale da creare allarme sociale. Negli Stati Uniti la percentuale di popolazione in sovrappeso o obesa ha presentato un lento e costante incremento a partire dagli anni ’60 fino agli anni ’80, per presentare una vera e propria impennata negli anni ’80 e ’90. Durante questi due decenni la percentuale di soggetti con indice di massa corporea (BMI) superiore a 30 kg/m2 è quasi raddoppiata tra i maschi ed è aumentata di più del 50% tra le donne.
Studi condotti negli ultimi 40 anni indicano che negli Stati Uniti è in aumento anche la percentuale dei bambini in sovrappeso e obesi. Tra il 1963 e il 1970, in bambini di età compresa tra 6 e 11 anni, la prevalenza del sovrappeso risultava pari al 4,2%, mentre nei ragazzi di età compresa tra i 12 e i 19 anni il valore era pari al 4,6%. Secondo il National Health and Nutrition Examination Survey III (NHANES III) nel periodo 1988 - 1994 la prevalenza del sovrappeso nei due gruppi era salita rispettivamente all’11,3% e al 10,5%. Attualmente si stima che nella fascia di età tra i 6 e i 19 anni la percentuale dei soggetti in sovrappeso e obesi sia del 15%.
Negli Stati Uniti l’incremento riguarda particolarmente alcune etnie, le aree povere delle città, i bassi livelli socioeconomici che adottano una dieta stereotipata e hanno scarsa possibilità di fare attività fisica. Per contro nei paesi in via di sviluppo l’obesità infantile è più frequente nei livelli socio-economici più elevati che tendono ad adottare stili di vita occidentali.
Nell’Unione Europea, prima dell’ingresso dei nuovi dieci membri nel maggio 2004, secondo i dati della ”European Association for the Study of Obesità” la percentuale di adulti obesi oscillava, nei vari paesi, tra il 10 e il 20% per gli uomini e tra il 10 e il 25% tra le donne. Si stima che il 18% circa dei bambini siano sovrappeso od obesi.
In Italia ben un adulto su tre (33,4%) risulta essere sovrappeso, mentre il 9,1% è obeso. Dati tutto sommato confortanti se paragonati al 22% di obesi in Inghilterra o al 13% della Spagna.
Di segno opposto sono invece i dati che riguardano l’infanzia e l’adolescenza. Secondo i dati dell’Istituto Auxologico Italiano i soggetti in sovrappeso nelle giovani età sono il 30-35%, mentre quelli francamente obesi oscillano tra il 12 e il 15%. Il dato è ben oltre quello della media europea e supera anche quello dei paesi che hanno maggiori problemi di obesità tra gli adulti come ad esempio gli Stati Uniti. La Spagna presenta una prevalenza del 30% di giovani in sovrappeso, mentre l’Inghilterra si ferma al 22%. Pertanto, l’emergenza obesità nel nostro paese risulta particolarmente rilevante a carico dei più giovani. Si stima che approssimativamente il 25 e il 50% dei bambini obesi mantenga tale condizione anche da adulti con tutte le note conseguenze per la loro futura salute.
Per ciò che riguarda la distribuzione all’interno del nostro paese, il Sud e il Centro sembrano maggiormente colpiti del Nord. Secondo i dati raccolti dalla Società Italiana di Nutrizione Umana, a fronte del 10% di bambini obesi in Piemonte, il 13% a Milano e il 16% nel Nord Est, si riscontrano il 21% a Cagliari, il 23% in Abruzzo, il 24% a Bari e il 34% nel Lazio. Il fatto di vivere in città sembra rappresentare un fattore ulteriore di rischio, facilmente associabile alla limitata possibilità, per il bambino, di avere una vita attiva all’aria aperta.